LA NAJA DI MASSIMO ANTONINI DE LUCA

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Mi chiamo Massimo Antonini De Luca, 35 anni dopo il congedo ho deciso di raccontare la mia Naja. Probabilmente è vero che l’uomo dopo i 50 anni inizia a manifestare strani segnali di ritrosia all’invecchiamento e per certi versi rispolvera i tempi felici della gioventù attraverso i ricordi, ricordi che il tempo ha epurato dalle note negative. Non vuole essere, però, un’operazione nostalgia, ne recare rimpianti o malinconie, anzi, si tratta di un viaggio a ritroso nel tempo, nel mio tempo, carico di affetto per il passato. E’ stato semplice attingere al baule della memoria, peraltro così carico di ricordi, e descrivere con un sorriso e tanto affetto uno dei percorsi del “noi che…”, del “noi che facemmo la naja". Questo viaggio vuole rispolverare con affetto la memoria della Naja Alpina. Memoria che, se teniamo viva, rappresenterà sempre l’essenza della nostra cultura e dei nostri valori Alpini.

 

Dopo 143 anni, il 31 dicembre 2005, partì l’ultimo scaglione di militari di leva. Non fu più pensabile e realizzabile mantenere un esercito così di massa. Si passò, riducendone drasticamente i numeri e le caserme, ai militari volontari, ai professionisti. Tutto ciò tranquillizzò le mamme, i pacifisti ed alcune correnti politiche. Si chiuse un'epoca, iniziata con il mandare a morire intere generazioni di giovani inconsapevoli, e terminata, specie negli ultimi decenni, con un considerevole numero di finti riformati, rivedibili, non abili, con il soffio al cuore, con i piedi piatti, ecc. e con una generalizzata caduta dei valori legati alle “stellette” ed alla nostra nazione per una buona parte delle nuove generazioni. Per i giovani ventenni non ci furono più le cartoline di precetto, la visita medica al Distretto, il car, le marce, la gavetta, la pasta scotta, le bistecche improbabili, il cordiale, gli ordini, le punizioni, le guardie, i campi, la libera uscita, il congedo. E soprattutto non ci furono più i valori del servizio di leva...

 

Chi dice che la naja fu una perdita di tempo non fece il militare o non lo fece in modo utile e costruttivo come “da noi”. La nostra naja, sia chiaro, fu ben lontana da chi prestò servizio durante la prima guerra mondiale sulle nostre montagne in Italia, da chi prestò servizio durante la seconda guerra mondiale in Francia, Africa, fronte greco-albanese e Unione Sovietica, da chi lo ha prestato in Bosnia e Kosovo, da chi lo presta ora in Afghanistan e Iraq, ma fu, in qualche modo, lo strumento per poter far maturare nel modo migliore dei ragazzi ventenni. Persone che hanno vissuto insieme sofferenze, sacrifici ed amicizia vera. Ragazzi che hanno condiviso il senso di dovere e della patria. Ed al Battaglione Alpini Susa la mia naja fu alquanto dura. Battaglione operativo inserito nell’AMF-L come forza di reazione rapida della NATO. Classe 1964, 5° scaglione 1985, caporale, incarico 18/A, autista Ambulanza, patente C camion e patente mezzi cingolati da neve. Nel mio anno di naja posso contare circa 5 mesi complessivi fuori caserma, di cui circa 90 giorni di sacco a pelo, la maggior parte durante l’inverno e sulla neve italiana ed estera. Un anno di naja davvero vivo e coinvolgente che ricorderò per tutta la mia vita come una durissima ma anche importante esperienza formativa.

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Ho cercato di scrivere queste pagine rispettando lo spirito di allora ed evitando di contaminare le esperienze e le sensazioni con quanto in me è cambiato, maturato, migliorato e perché no, peggiorato. Cercherò di ritornare indietro a quei tempi: nel novembre 1989 cadde il muro di Berlino e da allora la “Guerra Fredda” ebbe toni più pacati. Finirono gli anni ’80, “i Mitici Anni ‘80”. RAF scrisse “cosa resterà di questi anni ’80, chi la scatterà la fotografia…” Una fotografia ideale che avrebbe ritratto non solo il Presidente Pertini ed i Mondiali del 1982, Gorbaciov e Reagan, i Paninari, le ragazze del Drive In, Madonna, Magnum P.I., i primi orologi Swatch, ma anche l’Italietta delle cose facili e delle bustarelle, la Mafia, Craxi, il vino al metanolo, il disastro di Chernobyl, la comparsa dell’AIDS, le rivolte in Cina e l’attentato al Papa. Nella fotografia degli anni ’80 avrebbe avuto un posto ben meritato anche il servizio di leva… Eccolo il mio servizio di leva…

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La mia storia è dedicata ai 16 soldati norvegesi che morirono sotto una valanga in esercitazione in Norvegia, a Papà e Mamma che pregarono affinchè io non fossi sotto quella valanga.

Un grazie ed un abbraccio agli amici Francesco , Massimiliano , Massimo , Paolo1, Paolo2, al Sottotenente B. ed al Capitano C.: senza queste persone il mio servizio di leva sarebbe stato ancora più duro.

 

Nel maggio 1985 arrivò la cartolina di precetto azzurra con la destinazione: Alpini, C.A.R. (Centro Addestramento Reclute) a Cuneo. Alla partenza mi ricordai di una foto di me da piccolo, sembrava dire: “Ti piacque eh giocare al militare e GUIDARE… vieni un po’ qui da noi ora…” La mattina del 3 luglio partii in macchina da Moncalieri, serenamente, per raggiungere la Caserma Vian a Cuneo. Armato di un lucchetto per l’armadietto, il coltellino svizzero regalatomi da mio padre e con l’atteggiamento di uno che entrando in caserma, sapendo di doverci rimanere a lungo, non poteva far altro che adattarsi. Portare con se come bagaglio opinioni proprie non era consigliabile. Dentro era tutto diverso da fuori. Mentalità, rapporti, cose che ti chiedevano di fare: inutile cercarne un senso… Ma un senso alla fine sarei poi riuscito a trovarlo, eccome !

 

Ho fatto parte, quindi,  di coloro i quali hanno sostenuto il CAR a Cuneo negli anni ’80 ed hanno avuto il piacere di assaporare la calma, serena e lenta guida di un tempo degli automobilisti cuneesi. Per me che arrivavo dalla periferia torinese, già invasa dal traffico e da guidatori poco pazienti, si presentava come uno strano e affascinante spettacolo. Ma, alle ore 18.00, quando partivo in auto da Cuneo per raggiungere casa a Moncalieri, la guida rilassata dei cuneesi era davvero un ostacolo per il mantenimento dei miei tempi di marcia. “Guidai in un modo che voi umani…” chiedo scusa e me ne vergogno…

IL PRIMO STEP: il mese di addestramento a Cuneo trascorse velocemente, del resto potei andare a casa a Moncalieri quasi tutte le sere, una bella doccia, una buona cenetta, la fidanzata… La mia 112 Abarth fu la compagna fedele di quei giorni, ritornare a Cuneo per le 23,00 impose tempi stretti ed il motore della mia auto, pur “spinto”, fu sottoposto a dura prova.

Brigata Alpina Taurinense - Centro Addestramento Reclute Cuneo - Caserma Ignazio Vian - BATTAGLIONE ALPINI MONDOVI'

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 Cuneo, 9° Compagnia, più che mai “Burbe”

Insomma quelle settimane non influenzarono negativamente il mio umore e non compromisero la mia serenità. Non vissi mai come una costrizione il vivere la maggior parte della giornata chiuso entro i muri di una caserma ne’ l’eseguire gli ordini che mi venivano impartiti. Per quanto concerne Cuneo, una menzione particolare ed un ricordo affettuoso va all’omino con la vecchissima Fiat 1100 che veniva a pranzo a vendere panini con il salame e con il lardo, contando sulla scarsità del “livello gourmet” della mensa della caserma Vian… Ricordi cari sono anche quelli di me che cucio la nappina (uno spettacolo !), che metto gli scarponi sotto la branda per ammorbidirli e che curo i miei malconci e doloranti piedi per marce ed addestramento.

 

Quando seppi la mia destinazione definitiva, Pinerolo, fui molto felice a causa della vicinanza a casa… Naturalmente non conoscevo quale fosse il risvolto della medaglia e ignoravo che, in seguito, casa l’avrei vista molto poco ! Pinerolo era la sede del Battaglione Alpini Susa, 3° Reggimento Alpini, un battaglione facente parte dell’AMF-L, un contingente NATO di pronto intervento e quindi una caserma operativa.

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30 luglio 1985, arrivai a Pinerolo al Battaglione Alpini Susa e mi salutò l’iscrizione e motto del Battaglione  “A BRÜSA: SUTA ‘L SÜSA” (”la situazione è critica, avanti il Susa”)

 

Pinerolo - Caserma Berardi - in camerata

 Il distintivo della mia Compagnia, COMPAGNIA COMANDO E SERVIZI

Quando vidi la Berardi rimasi stupito dall’ordine, dalla pulizia che regnava, dal passo veloce che tenevano gli alpini.
Guardandosi intorno la prima impressione era quella della marzialità !
Sembrava che tutto rispondesse ad una regia perfetta.
Anche gli alpini, gli ambienti, le camerate ed i mezzi esprimevano un senso di rigore ed organizzazione.
Zero nonnismo: forse non c’era il tempo e la voglia…
Ricordo che i nonni mi chiesero di fare qualche branda e lavare qualche camion, tutto lì.
Ma a Pinerolo si creò anche la necessità, per me assolutamente nuova di obbedire agli ordini: un senso di costrizione si fece largo in me !.
Questa nuova situazione, del resto, mal si conciliava con quella del figlio unico viziato e coccolato: la generalizzata e consentita violenza verbale e psicologica somministrata regolarmente da alcuni sottufficiali risultava incomprensibile ad una mentalità come la mia, forse ancora abituata al mondo civile esterno.
Non avevo ancora adattato la mia mente al sistema militare, al sistema militare del “Susa” e ciò costituiva un problema.
Non avevo ancora compreso che questo “sistema” ero obbligato a farmelo piacere, a conviverci… A Pinerolo ebbi anche il piacere di sottopormi alla famigerata “puntura”ovvero un ulteriore vaccino a più ampio spettro. Tutte le leggende metropolitane che giravano sulla “puntura”sono vere ! Su quelle sulla sua composizione non sono in grado di commentare poiché non ne possiedo le competenze che me lo permettano. E’ vero che grandi e grossi ragazzoni caddero a terra svenuti. E’ vero che faceva male, non quando viene fatta ma nei giorni successivi. Nel mio caso, averla abbinata ad una buona quantità di birra scura nei giorni successivi ha fatto sì che, dopo la naja, mi sia scomparsa, per sempre, l’allergia al polline o almeno è quello che credo fermamente.
Prerogativa del nostro battaglione era l’attività denominata “reazione fisica” durante la quale si registravano più puniti che in tutta la giornata: per evitare la mezz’ora di corsa al mattino alle 6,00 furono escogitati gli strattagemmi più fantasiosi ma le punizioni non diminuirono mai.
Altra prerogativa della caserma di Pinerolo era il famosissimo “tè con il bromuro aggiunto”, leggenda metropolitana o verità: non lo sapremo mai..
La frase “stia punito !” è la cosa più caratteristica…
Lo “stia punito” alla caserma Berardi era davvero molto usato, abusato e temuto.
Non dimenticherò mai le persone incontrate in questo anno di naja, la varietà era garantita: senza offendere nessuno, si andava dal poco istruito al laureato,  dal povero al ricco, dal buono al cattivo, dall’onesto al poco di buono.
Ma sopra ogni cosa della vita in caserma a Pinerolo  rimarranno per sempre nella mia memoria e nel mio cuore quei 5 amici con i quali abbiamo condiviso freddo, freddissimo e freddo polare, sconforto e gioia, fatiche e stress, pianti e risa e comunque tutte quelle esperienze che ci hanno legato per sempre, e perché no, temprato alla vita.

Ore 6,00 - “reazione fisica” con pioggerella

Servizi di guardia

IL SECONDO STEP: per circa tutto il mese di agosto e metà di settembre, dopo l’adunata, al passo e “cantando”, ci dirigevamo verso l’aula di scuola guida alternando lezioni di teoria e lezioni di guida fuori dalla caserma.

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Bricherasio lezioni pratiche

Pinerolo - Caserma Berardi - Autosezione, iniziano gli esami, 13 settembre 1985

 

 

Esame superato ! Conseguita Patente Militare B-C-AMBULANZA

 

 La nostra chiave "Il Chiodo"

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Mi venne affidato un Iveco 4X4 ACM 80 cilindrata 6.000 c.c. 16 posti come questo Fu l’inizio del nostro incarico, guidare e bene, qualsiasi mezzo.

Non fu mai cosa semplice: la sicurezza delle persone che trasportavo e la responsabilità dei mezzi che guidavo ha rappresentato per me, per tutta la durata della naja, un sentimento di grande ansia e preoccupazione: gli alpini trasportati generalmente non erano mai meno di una decina, quasi una ventina sul camion. A pesare sulla sicurezza della guida furono soprattutto gli elementi, come le impervie strade di montagna, la neve e soprattutto il ghiaccio, che furono purtroppo eterni compagni delle nostre avventure.

Dopo il corso di scuola guida, sempre a settembre ci fu l’esercitazione di Allarme NATO, ovvero l’evacuazione dalla caserma e mobilitazione altrove, in luogo sicuro, di Alpini, materiali, mezzi e armamenti.

Pronti per l'Allarme Nato

Pronti per l'Allarme Nato

Mimetizzazione dei Mezzi a Baudenasca

Mimetizzazione dei Mezzi a Baudenasca

Mimetizzazione dei Mezzi a Baudenasca

Mimetizzazione dei Mezzi a Baudenasca

Mezzi del Nizza Cavalleria alla Berardi

Mezzi del Nizza Cavalleria alla Berardi

Pronto ed affardellato per il terzo step

ILTERZO STEP: furono i campi di addestramento estivi ed autunnali: il battesimo al volante fu pochi giorni dopo aver ottenuto la patente: inviato per una settimana ai Campi Estivi a Pian dell’Alpe con la 35° Compagnia Fucilieri “VIPERA”con il mio camion, l’Iveco ACM 80 con la cucina campale a rimorchio. Il ricordo di me in manovra in retromarcia in discesa su sterrato con la cucina come rimorchio è indelebile nella mia mente ancora ora dopo 35 anni…

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Pochi tra i commilitoni passati al Susa non hanno partecipato almeno una volta alle esercitazioni a Pian dell’Alpe. Personalmente partecipai sia a quelle estive che a quelle autunnali. Pian dell’Alpe, è un luogo magnifico. Pian dell’Alpe è anche il primo luogo deputato a fare da spettatore allo “sgrossarsi” o “sgrezzarsi” degli Alpini del Susa, soprattutto quelli degli scaglioni più giovani arrivati da poco. Ognuno lassù, a 1950 mt., si è “sgrossato” o “sgrezzato” a suo modo. In ogni aliquota di Alpini in esercitazione c’era quindi un gran numero di reclute fresche. Per i fucilieri si trattava dei primi attacchi a fuoco: attaccavano e sbalzavano goffamente cercando di affinare le loro tecniche. Gli autisti, come me, sudavano freddo azzardando improbabili manovre. Gli Sten si sgrossavano al comando anche loro con innumerevoli defiances. A Pian dell’Alpe si rimaneva, di norma a dormire almeno 4 notti. Non si avevano a disposizione l’acqua corrente, l’elettricità, la mensa, i bagni, le brande. La giornata iniziava con il lavarsi e farsi al barba con l’acqua gelida del torrente: molti non si lavavano, alcuni si lavavano vestiti, come Fantozzi, moltissimi dopo essersi fatti la barba sanguinavano copiosamente. La reazione fisica, ovvero la ginnastica, in montagna non era prevista, sicchè seguiva una colazione con the’ e biscotti. Seguivano esercitazioni varie e quindi il pranzo preparato dai colleghi alpini cuochi con l’ausilio della cucina campale. Il pranzo si consumava per terra o su qualche roccia con le posate e quello strano accessorio chiamato gavetta che si prestava a diverse interpretazioni d’uso, prese in giro, usi e gaffe. Dopo il pasto riprendevano le esercitazioni. Stanchi e sporchi non avevamo docce, bagni e branda. Dopo cena si espletavano i bisogni corporali nella pineta della Casa Alpina Don Bosco, storicamente eletto a luogo ideale per quel tipo di funzione da svariate generazioni di alpini del Susa. Infine, in tenda, una riposante dormita adagiati su un materassino misteriosamente sempre poco gonfio inseriti a mummia nel sacco a pelo lasciando il più piccolo varco possibile, appena sufficiente alla respirazione, aspettando la nebbiolina fine fine che, bastarda, non mancava mai.

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Per me i primi campi a Pian dell’Alpe rappresentarono il primo di tanti momenti che quella naja mi avrebbe poi offerto per poter metabolizzare quanto mi stava succedendo: del resto a 2.000 mt. di quota e di fronte a quello scenario si ragionava davvero meglio. Nelle mie riflessioni davanti ad un panorama da urlo, tra i versi di uccelli ed il suono delle  campane delle mucche in lontananza, le cose si stavano pian piano sistemando trovando serenamente una loro collocazione. Un grande aiuto a vedere le cose più chiare e più serenamente fu anche la compagnia durante entrambi i campi a Pian dell’Alpe di Francesco che, oltre a rivelarsi un grande amico e compagno di avventura nei mesi a venire, fu una preziosa compagnia che sprizzava sempre positività, ottimismo e serenità. Pian dell’Alpe si sarebbe ripetuto.

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La seconda volta a Pian dell’Alpe con la 36^ Compagnia Fucilieri "L'Ardia", ad ottobre, fu più serena e più divertente, in primo luogo perché raggiunsi un buon livello di guida ed una buona padronanza (anche della c…o di cucina campale), ma soprattutto perché si erano già create le prime amicizie e trascorrere insieme una settimana fu davvero coinvolgente. Indubbiamente, la nebbia che entrava all’interno della tenda a inumidirti i capelli (unica parte del corpo fuori dal sacco a pelo) non era il massimo, lavarsi al torrente con acqua gelida avrebbe risvegliato anche un morto, la fettina di carne non era mai troppo morbida, ma anche questa era fatta ! Andando avanti capimmo che quello che ci eravamo lasciati alle spalle era ben poca cosa rispetto a quanto ci aspettava da lì a poco.

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IL QUARTO STEP: la normale routine (non credo che routine sia il termine adatto per il “Susa”) proseguì fino a metà novembre quando alcuni di noi autisti ebbero modo di trascorrere diversi giorni al famoso “Hotel Bousson” in occasione del corso di scuola guida per i mezzi cingolati BV-206, un mezzo diviso in due unità, sterzanti in modo oleopneumatico, 3.000 c.c., 6 posti anteriori e 11 posteriori.

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La caserma Monginevro di Bousson veniva così definita perché ben tenuta, piccola, con discreta mensa e poco rigore soprattutto per quanto concerne il ritorno dalla libera uscita. L’”Hotel Bousson” aveva anche un altro grande pregio: era vicinissimo alla Frazione di Rolliers dove si trovava un “bonbon” di trattoria festaiola molto apprezzata da noi Alpini. Ricordo che ci siamo recati là tutte le sere e che io ed i miei commilitoni eravamo fermamente convinti che nel locale liberassero del gas esilarante perché non siamo mai riusciti a spiegarci come mai al ritorno in caserma ridevamo talmente tanto da cadere sempre sulla neve…

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Bousson, fine novembre, esami superati, patente cingolati conseguita, relax…

 

Si trattò quasi di una vacanza, una bella caserma con pochi alpini, inserita in uno stupendo paesaggio, buona cucina e molta tolleranza per quel che riguardava il rientro la sera. In quel periodo il mio approccio psicologico alla naja era davvero cambiato: non aspettavo più con rassegnazione che finisse il temporale, piuttosto, avevo già imparato a ballare sotto la pioggia !

Del mese di dicembre ricordo poco ad eccezione del giorno di Natale e della vigilia passati in caserma montando di servizio poiché ricoprivo anche la mansione di autista di ambulanze: si trattava  sostanzialmente di un vantaggio poiché l’essere a disposizione per la guida dell’ambulanza mi evitava i servizi armati. A proposito, le poche volte che dovetti portare qualcuno in ospedale lo feci in realtà con un mezzo alternativo  poichè la nostra ambulanza Alfa Romeo F12 in quelle occasioni non partì mai !
Capodanno lo trascorsi a casa di amici in montagna, ad Oulx, e per un caso del destino in una casetta distante non più 50 di metri dalla Caserma Assietta dove avrei poi trascorso tutto gennaio e metà febbraio per la Propedeutica alla Norvegia.

IL QUINTO STEP: fu proprio la Propedeutica alla Norvegia che per me ebbe come base la Caserma Assietta di Oulx, sede della 34° Compagnia Fucilieri ”LUPI”.

34° Compagnia Fucilieri ”LUPI” - Oulx, 13 gennaio – 6 febbraio

Quella di Oulx  era una bella caserma e soprattutto si mangiava bene, ma noi eravamo sempre fuori per esercitazioni, anche di notte, e quindi non abbiamo potuto apprezzarla appieno. L’esercitazione per la Norvegia svolse il compito di temprarci (giorno e notte) al freddo: non mancarono numerose nevicate ed una buona dose di freddo pungente che ci accompagnò nelle esercitazioni a più di 2.000 mt. Raggiunta una buona pace con me stesso e pronto all’avventura che mi aspettava, mi sentivo come qualcuno che si accingeva a prendere bene la rincorsa prima di effettuare un grande salto. La libera uscita serale, appena possibile, era sempre dedicata a scaldare le sedie della pizzeria-ristorante di Oulx (ai tempi era una sola, nell’attuale Via Roma). Il ristorante era ottimo, la pizza buona, ma il ricordo della bontà di quei favolosi tomini al verde che si scioglievano in bocca prevale su ogni cosa ! Non ho idea della quantità di tomini al verde fatti fuori ogni sera, ma avevo conferme sulla loro bontà da civili ed alpini che ci avevano preceduti e ne ho poi avute da quelli a noi succeduti. Dell’Assietta e delle serate in libera uscita ad Oulx ho ricordi bellissimi. Fu più o meno in quel periodo che si consolidò una grande amicizia, e ne iniziò una Massimo, Massimiliano, Paolo1 e Paolo2 che durò fino all’ultimo giorno di naja.

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Tutto andò bene a Cesana, Bousson e Lago Nero, ma a Salbertrand ebbi una brutta esperienza: alla guida del mio BV, con un carico di 15 persone, il mezzo su una stretta stradina di montagna, in un tratto in ombra, iniziò a sbandare sul ghiaccio dirigendosi verso lo strapiombo vicino. Con un colpo di controsterzo lo portai verso il costone a monte riuscendo a fermarmi. Subito dopo sentii l’applauso di tutti… ma le gambe non smisero di tremare per un po’ di tempo per la paura che avevo provato. Un grande senso di responsabilità unito anche ad un “Signore fa che vada sempre tutto bene” era il sentimento che ci accompagnava quando la vita di molte persone ci era affidata. Da ultimo, a proposito della Caserma Assietta, assolutamente da ricordare l’esperienza pervasa da panico e palpitazioni, al ritorno a Pinerolo da Oulx: alla partenza appoggiai il mio fucile al mezzo cingolato e poi partii senza caricarlo. Grazie al cielo il mio cingolato era quello usato dal colonnello e quindi dotato di radio. All’altezza di Sestriere il mio Sten, B., capomacchina avvertì via radio Oulx di “imboscare” il mio fucile che mi venne recapitato il giorno dopo in caserma a Pinerolo a “brevi mani”. Ciò mi permise di evitare un soggiorno forzato al carcere militare di Peschiera. Ancora grazie al brillante ed intelligente Sten B. !

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IL SESTO STEP: fu “ANCHOR EXPRESS” , l’operazione in Norvegia attraverso la Germania.

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Dal 1963 al 2002 il Battaglione SUSA ed il Terzo Reggimento Alpini hanno fatto parte dell’AMF(L) come elemento di base del Contingente “Cuneense” ed hanno partecipato a numerose esercitazioni nelle aree di contingenza nord, centro e sud europee (Norvegia, Danimarca, Inghilterra, Spagna, Slovenia). L’AMF(L) nasce nel 1960 come forza multinazionale d’intervento in grado di dispiegarsi con breve preavviso in qualunque zona minacciata dell’area della NATO con funzioni di deterrenza e di dimostrazione della determinazione, coesione e reattività dell’Alleanza Atlantica.

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Fondamentale fu stipare il mio mezzo cingolato con riserve alimentari ed alcoliche. L’elemento posteriore dei nostri mezzi cingolati adibito al trasporto truppa era provvisto di 2 lunghe panche in legno sotto le quali si poteva stipare davvero molto materiale. Papà e mamma fecero un rifornimento al supermercato sufficiente ad un cenone di capodanno per 50 persone. Erano presenti generi a lunga conservazione quali frutta secca, latte condensato, pasti sostitutivi, tonno e carne in scatola, biscotti.  L’ingombro maggiore era costituito da bottiglie di liquori che “i vecchi” ci avevano consigliato di portare come corroborante al freddo norvegese.

Pinerolo, pronti a partire per la Norvegia

Per alcuni di noi autisti l’esercitazione in Norvegia prevedette un itinerario più lungo ed articolato, essendo noi vincolati alla spedizione dei mezzi. Dopo aver caricato i mezzi sul treno alla stazione di Avigliana, partimmo sul medesimo treno alla volta della città di Cuxhaven in Germania sul Mare del Nord. Sopra Pinerolo, pronti a partire per la Norvegia, sotto Stazione di Avigliana.

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Avigliana – Cuxhaven 1.300 km

I 1.300 chilometri e le 40 ore di viaggio impiegate per raggiungere la nostra meta trascorse in un vagone letto furono indimenticabili. Ricordo che non ci fu apprensione o preoccupazioni per quanto ci aspettava in Norvegia: un sentimento condiviso di grande serenità era quello che prevaleva in me e nei miei compagni di avventura. Il pensiero che non sarebbe stata una passeggiata era presente ! Arrivati a Cuxhaven scaricammo i mezzi dal treno e li caricammo sulla nave.

Germania, Cuxhaven, noi alla stazione

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Noi al porto

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Cuxhaven, il 19 febbraio la nave partì verso il porto di Sorreisa in Norvegia: 2.600 km

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Cuxhaven, noi rimanemmo alcuni giorni “in libertà” presso la caserma di Altenwalde, un battaglione di carristi dei mitici Panzer.

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Concluse le operazioni ci eravamo guadagnati una settimana di vacanza nella cittadina tedesca, settimane che diventarono 2 se includiamo  anche quella al ritorno. Furono un momento di grande condivisione ed aggregazione con quelli che divennero poi miei amici, davvero amici. I ricordi delle 2 settimane lassù sul Mare del Nord rievocano un senso di assoluta libertà: era come una libera uscita di 24 ore al giorno e senza alcun controllo da parte dei nostri superiori.

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In giro per la città tutto il giorno e la sera sempre alla continua ricerca del ristorantino giusto o della discoteca caratteristica. Spesso mangiavamo in una trattoria del porto che faceva una frittura di calamari divina che si accompagnava ad una birra di gran qualità: posso confermare che la birra che si beve in Germania è davvero diversa e non è solo un luogo comune. Queste giornate furono un diversivo e ciò ebbe su di me e su tutti quasi un effetto anestetico prima dell’”operazione”.

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Arrivata la nave in Norvegia, partimmo dall’aereoporto di Nordholz in Germania diretti a quello di Bardufoss in Norvegia e poi, via terra, alla volta del porto di Sorreisa.

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24 febbraio 1986: arrivammo in terra norvegese

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Sorreisa

A Sorreisa scaricammo i mezzi dalla nave e dopo pochi giorni, il 25 febbraio 1986, iniziava l'esercitazione "Anchor Express": dopo mesi di addestramento invernale a quota 2000, mille alpini raggiunsero il circolo polare artico, dove erano stanziate anche truppe canadesi, americane, olandesi, tedesche, norvegesi ed inglesi. Questo è il racconto delle manovre Nato condotte ad una temperatura fra i 15 e 57 gradi sotto lo zero...

Presso il nostro Campo: Circolo Polare Artico

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Le temperature raggiunsero in molte notti i 50° sotto lo zero, l’infermeria era stracolma di alpini malconci e si registrarono molti casi di principi di congelamento ai piedi. Uno dei primi giorni in Norvegia uno “sveglione” tagliò il telo della tenda spaccando la legna per la stufa all’interno della tenda. Questo gesto “arguto” aveva reso la nostra tenda inutilizzabile: l’acqua bagnò zaini e sacchi a pelo, i quali rimasero umidi per tutta la nostra permanenza in Norvegia.

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Seppur sanzionabile disciplinarmente e poco onesto nei confronti dei fucilieri che dormivano sparsi nelle piccole tende isotermiche situate in buche scavate nella neve, decisi che la mia “casa” da quel momento sarebbe stata il mio mezzo cingolato. Questa mossa meschina era un po’ mitigata dal fatto che comunque riservavo un posto caldo anche a tutti gli avventori più o meno ammalati e congelati che si presentavano. La vita all’interno del mezzo cingolato offriva due indubbi vantaggi: il primo, costituito dalla cassetta di riscaldamento del mezzo dove si poteva alloggiare comodamente qualsiasi tipo di cibo e poi mangiarlo decisamente caldo. Ricordo ottimi agnolotti al ragù presi direttamente con la forchetta dal contenitore che rimaneva al caldo. Il secondo vantaggio era fornito dall’elemento posteriore del mezzo dove in una tiepida privacy ci si poteva lavare e pulire sommariamente visto che in Norvegia potei fare una sola doccia in più di un mese e peraltro la feci di nascosto eludendo i controlli del campo.

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Alcune serate della nostra permanenza in Norvegia furono allietate da alcuni colleghi norvegesi che venivano a trovarci ed a far due parole o, forse meglio dire due espressioni o gesti, nell’elemento posteriore del mezzo cingolato che accoglieva 10 persone comodamente. Il mio inglese mi aiutò molto nelle conversazioni. Era un momento davvero conviviale, sincero, ma soprattutto semplice. L’umore era mantenuto vivo dallo scambio di doni tra i militari delle due nazioni: i norvegesi portavano in dono un’erba seccata, officinale e medicamentosa, coltivata da loro stessi, con le quali si preparavano ottime e rilassanti “sigarettine” e gli italiani contraccambiavano con whisky, rum e cognac, qualcuno piazzò anche un’ultima bottiglia di genzianella rimasta.

Il 3 marzo 1986, iniziarono le esercitazioni di guerra vere e proprie, italiani, norvegesi, canadesi, americani, olandesi e tedeschi combatterono “l’invasore inglese” nella zona tra Narvik e Tromso all’altezza delle Isole Lofoten.

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Il Comandante del Terzo Alpini da l'inizio delle manovre

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Inizia il conflitto simulato e la fase combat

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Il "nemico" invasore: gli Inglesi

Il mio fedele “compagno”, il BV-206, fece altresì in modo che mi trovassi in almeno un paio di situazioni estremamente pericolose a causa del ghiaccio: la presenza di molti alpini a bordo ed il pensiero di cosa avesse potuto succedere mi fa ancora rabbrividire. In un caso, lungo la costa, il mio cingolato si diresse, in una curva ghiacciata in discesa, direttamente e senza controllo verso una banchina fino a fermarsi fortunatamente pochi metri prima di cadere in mare. In un’altra occasione, su un lago ghiacciato, che evidentemente così ghiacciato non era, l’elemento posteriore del mio cingolato iniziò, dopo aver rotto il ghiaccio, a sprofondare: fortunatamente la trazione dell’elemento anteriore era indipendente e quindi, dopo aver fatto scendere tutti, misi in salvo il mezzo.
La preghiera “Signore fa che vada sempre tutto bene” aveva funzionato. Non fu così due giorni dopo nell’entroterra del Fiordo di Gratangen.

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Circolo Polare Artico, 5 marzo 1986

“dopo tanti giorni passati più o meno freneticamente in manovre e spostamenti senza il tempo di pensare, quella notte no, non potei dormire. Uscii a piedi nella notte artica senza badare a milioni di spilli che si conficcavano lievemente in mani e viso in compagnia del rumore ovattato ma secco dei fiocchi di neve che si comprimevano sotto il peso dei miei Vibram. Camminavo in un piccolo bosco di betulle e il cielo quella notte non era buio come al solito. Combattei invano un grande smarrimento che si univa, pulsante ed ossessivo, ad un profondo ed inquietante senso di morte. Si, di morte: in esercitazione si poteva anche morire. 16 soldati norvegesi erano morti quel giorno. Sotto una valanga. I miei passi erano insicuri, i battiti del cuore si fecero più veloci, la mia mente non poteva più contenere pensieri ed angosce che si moltiplicavano senza limite, cercai una ragione alla morte, a quelle morti… Ad un tratto il cielo divenne più chiaro ed in una danza ipnotica ma veloce comparirono deboli accenni di mutanti screziature e scie di un acceso verde smeraldo. Nel cielo si crearono e scomparirono per poi ricrearsi innumerevoli disegni di una grazie e bellezza disarmante. Ero attonito di fronte allo spettacolo dell’Aurora Boreale. Quella notte, solo quella notte, le Valchirie produssero l’Aurora Boreale con la quale accompagnarono i soldati norvegesi morti al Valhalla. Odino, seppur non morti in battaglia, li accolse come soldati gloriosi riservando loro una speciale e valorosa accoglienza. Questo voglio pensare. Questo per me rappresenta l’Aurora Boreale”. R.I.P. Massimo Antonini

Thanks to Anne Birgitte Fyhn for the video Northern Lights in Tromso - Schubert music

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Era emerso dolorosamente che in esercitazione si poteva morire ! “Anchor Express” venne così interrotta, vennero smontati i campi e ci si apprestò al rientro.

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L’11 marzo ci furono concessi alcuni giorni di libertà e visitammo i paesini vicini: era iniziato il disgelo e l’ambiente e la natura norvegesi in quel periodo dell’anno sono favolosi.

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Una notte, proprio prima di ripartire alla volta della Germania, ebbi la fortuna di assistere nuovamente all’aurora boreale. E’ uno spettacolo stupendo, davvero irripetibile, anche perché nella mia mente risulta legato a quello che per me fu un momento di grande riflessione, momento nel quale la tragedia e la morte mi erano passate davvero vicine.

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Iniziò la fase più in discesa del mio servizio di leva: mancava poco al termine, ce l’avevamo fatta, questo era l’importante. In ogni caso il ricordo dei soldati norvegesi morti non mi abbandona mai e queste pagine sono dedicate alla loro memoria. Il 15 marzo caricammo tutti gli automezzi sulla nave ormeggiata a Sorreisa. Al rientro dalla Norvegia con un Hercules C-130 partito da Bardufoss ed atterrato a Nordholz, fummo trasferiti per la seconda volta a Cuxhaven in attesa dell’arrivo della nave con gli automezzi da scaricare e caricare nuovamente sul treno pronto per l’Italia: ci fu concessa una settimana libera da impegni ospitati in una caserma di Cuxhaven.

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Si riparte per la Germania

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In quella settimana non ci furono impegni, orari, rientri da rispettare. Ricordo a chi non ne fosse a conoscenza che i militari impegnati in missioni all’estero percepivano una paga davvero importante. E noi ne avevamo già ricevuto un bell’acconto. Eccoci, bella vita arriviamo ! Furono dei giorni indimenticabili, di divertimento e grande amicizia.

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Peccato, essermi perso il ricordo di 12 ore di questa esperienza: era l’ultima sera a Cuxhaven, ricordo la cena presso un ottimo ristorantino italiano e poi più nulla fino al mattino… Possiedo alcune foto che mi ritraggono dopo il ristorante e soprattutto in discoteca quindi ritengo con una buona dose di sicurezza che non fui rapito dagli alieni.

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la bellissima Stephanie che abitava vicino alla caserma e voleva sempre salutare gli alpini

Il 19 marzo, arrivò la nave e scaricammo i mezzi

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Poi caricammo i mezzi sul treno

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Prima di partire io ed i miei pochi “intimi” facemmo una colletta e, con i pochi soldi rimasti dai “germanici bagordi”, acquistammo una quantità industriale di salmone, maionese e crackers come sostentamento per il viaggio. A voi pensare, dopo 40 ore di viaggio, la nausea ed il disgusto per i protrarsi di quella dieta monotona. Per molto tempo non mangiai più salmone. Ancor oggi quando lo mangio sorrido e penso ad allora…

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E così, dopo 1.300 chilometri, il 21 marzo arrivammo di nuovo alla stazione ferroviaria di Avigliana, stanchi ma sereni, fieri di aver portato a termine un importante impegno.

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Una volta scaricato il treno con i mezzi ci dirigemmo a Pinerolo, molto affamati, verso un pasto decente ma arrivammo tardi e con la mensa già chiusa. L’unica soluzione fu attendere l’apertura dello spaccio truppa unica fonte di approvvigionamento di cibo, non volendo aspettare l’ora di cena. Ahimè era stata fatta una razzia dai colleghi arrivati nei giorni precedenti e l’unico bene di conforto rimasto erano le “Fiesta” gusto mandorla. Più o meno ne mangiammo una decina a testa. La nausea che ne conseguì era simile a quella del salmone, ma fu più duratura. La nausea era anche causata dalla new entry del jukebox che suonava e risuonava la canzone vincitrice  di Sanremo di Eros Ramazzotti “Adesso tu”, un tormentone che ci accompagnò anche nei mesi successivi.

22 marzo, di nuovo in Caserma a Pinerolo

Il ricordo più vivido legato al ritorno dalla Norvegia è quello dell’abbraccio dei miei cari arrivato a casa. Trascorsi a casa una licenza 10 giorni ma durante tutto il tempo non riuscii mai a staccare completamente da quanto accaduto:  poco più che ventenne, mi trovai a 4.000 km da casa, al gelo del Circolo Polare Artico, alla guida di mezzi in condizioni climatiche avverse, dove per un’esercitazione, a quanto pare, si poteva morire… Tornai a Pinerolo in caserma e riprese la più o meno solita routine: ormai mancavano 3 mesi al congedo e l’esperienza vissuta assumeva toni sempre meno pesanti.

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Che il congedo fosse prossimo mi venne ricordato poco tempo dopo quando andai a Cuneo al Battaglione Mondovì a prendere le reclute destinate al Susa.

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Dal 9 al 20 maggio, assieme all’ormai caro amico Paolo, ci offrimmo volontari per partecipare all’Adunata Nazionale Alpini di Bergamo.

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Ricordo che ero molto cambiato rispetto ai primi mesi a Pinerolo, ero sereno e positivo ed affrontavo quanto mi accadeva intorno non più passivamente, ma con il giusto spirito, pensando sempre al bicchiere mezzo pieno e godendo delle cose apprezzandone sempre il lato positivo. Avevo voglia di fare e vivere nuove esperienze.

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Con i nostri camion portammo a Bergamo materiali, attrezzature ed uniformi per presiedere alla Mostra Materiali e Mezzi, allestimento simile dell’odierna Cittadella degli Alpini.

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Dieci giorni di vero e puro divertimento poichè la Mostra era stata allestita in uno stupendo parco con annesso bar ristorante.

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Pur avendo la possibilità di dormire in caserma decidemmo di dormire in tenda nel parco per godere di maggiore libertà.

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Trascorsi 10 giorni ideali per chiudere l’esperienza di una naja così movimentata. 

Al ritorno mi furono concessi i 10 giorni di licenza ordinaria. Ad inizio giugno ricordo che, pur potendo, non andai quasi mai a casa, la libera uscita la trascorrevo sempre a Pinerolo con gli amici, con quei miei grandi amici con i quali avevo condiviso così tante avventure ed esperienze. I ritmi erano lenti e noi sereni, ma…

Il 17 giugno, come successe più o meno nove mesi prima, scattò l’allarme NATO, la caserma, ritenuta obbiettivo sensibile, dovette essere smobilitata in poche ore per raggiungere i boschi di Baudenasca presso i quali il Maresciallo dell’autosezione organizzò una stupenda grigliata.

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Come ho fatto all’inizio di questo lungo racconto mi sento di salutare e ringraziare gli amici e compagni di questa avventura. Posso affermare che senza di loro non sarebbe stata la stessa meravigliosa esperienza. Grazie ragazzi, ricordarmi di voi, ancor oggi, mi emoziona !

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Arrivò il 23 giugno, cena in trattoria con gli amici e poi tutti in piedi in caserma per prepararsi ad ascoltare il silenzio. Il silenzio fuori ordinanza, l’ultimo silenzio che avremmo sentito, fu preceduto da un discorso del Maggiore: lo ricordo ancor oggi, il Maggiore suggerì che tutte quelle esperienze passate, che a noi parvero durissime, erano solo un antipasto delle prove a cui la vita ci avrebbe sottoposto. Poi risuonò il silenzio, quel silenzio rappresentò, come i liquidi di sviluppo e fissaggio lo sono per le foto, lo scorrere e l’imprimersi nella nostra mente e nel nostro cuore, in modo duraturo ed indelebile, di migliaia di immagini salvate temporaneamente nei 12 mesi trascorsi. Un’emozione indescrivibile ! C’era chi urlava, chi rideva, chi piangeva, tanti si abbracciarono... Il giorno dopo uscimmo tutti dalla Berardi con un atteggiamento condiviso: soddisfatti della prova superata, fieri di quello che avevamo fatto e certi che nessuno avrebbe mai compreso a fondo il nostro servizio di leva se non l’avesse provato sulla propria pelle.

Il mio servizio di leva era terminato.

24 giugno 1986, “E’ FINITA”

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La naja, contrariamente a quanto pensavo prima di prestare servizio, aveva avuto un senso. Un senso c’era, eccome, ed era qualcosa di estremamente importante: era stata un’esperienza di vita, di persone, luoghi ed eventi che mi e ci aveva arricchiti e maturati davvero molto… Molti non lo capiranno, ma per molto e molto tempo mi mancò la vita in caserma e soprattutto mi mancarono gli amici Alpini.

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Ora che sono trascorsi 35 anni da allora, la vita ha fatto e farà ancora il suo corso come è giusto che sia, ma sono contento e, perché no, orgoglioso che l’esperienza ed il ricordo del “Susa” mi accompagni ancora  così nitidamente: un’esperienza impegnativa, colma di amicizia e condivisioni così forti. E perché no, sono parole forti di questi tempi, voglio anche ringraziare la mia naja per avermi insegnato il significato di parole come sacrificio, dovere, disciplina.